Lo spazio rappresentato nella corteccia prefrontale mediale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 12 febbraio 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La corteccia cerebrale umana, intesa particolarmente quale neopallio a struttura esalaminare, esprime al massimo grado l’evoluzione cerebrale dei mammiferi, con le sue dimensioni che, se si dispiegassero le circonvoluzioni, occuperebbe una superficie di oltre 2 m2 rendendo bene il concetto di punto di arrivo nella filogenesi, riconosciuto al nostro cervello fin da quando J. B. S. Haldane osservava che le dimensioni della parte superiore ed esterna dell’encefalo umano, al confronto con le omologhe di altri primati e dei nostri progenitori ancestrali, costituiscono il più grande salto evolutivo conosciuto in biologia[1].

Fin dagli studi di Penfield e Rasmussen, che a metà del secolo scorso mediante stimolazione con elettrodi della superficie corticale di volontari hanno definito le due mappe somatotopiche, a localizzazione precentrale e post-centrale, con i due omuncoli, motorio del lobo frontale, e sensitivo del lobo parietale, si è compreso che, pur non esistendo una localizzazione frenologica delle facoltà psichiche in singole aree, si può riconoscere una definita specializzazione delle popolazioni neuroniche corticali all’interno di perimetri circoscritti della superficie, ciascuno corrispondente ad un territorio somatico periferico, ed esteso in proporzione al numero delle connessioni sinaptiche formate in quel territorio corporeo. Dunque, anche se non si ha la localizzazione di funzioni psichiche in quegli ipotetici “organi corticali” dell’antica organologia, esiste una localizzazione del controllo di parti del corpo in aree circoscritte della corteccia. Allo stesso modo, si hanno localizzazioni precise nel controllo della percezione e della comunicazione verbale: l’area acustica primaria corrisponde all’area 41 di Brodmann sul primo giro temporale, l’area visiva primaria alla 17 (V1) di Brodmann presso la scissura calcarina del lobo occipitale, poi vi sono la 18 (V2), la 19 e le altre[2], o l’area motoria del linguaggio di Broca per il controllo esecutivo della parola, coincidente con l’area 44 di Brodmann e corrispondente al piede della terza circonvoluzione frontale di sinistra, parte opercolare del giro frontale inferiore, o, infine, l’area specializzata nell’elaborazione recettiva del linguaggio udito, scoperta da Wernicke e in gran parte corrispondente all’area 22 dei campi citoarchitettonici di Brodmann[3].

Accanto alla specializzazione, che consentiva a Penfield di stimolare con un elettrodo, ad esempio, l’area motoria del pollice di un paziente e vedergli contrarre il dito, la neurofisiologia classica aveva evidenziato aree che non producevano risposte comportamentali alla stimolazione (aree mute) e aveva individuato territori per i quali si ipotizzava la funzione di collegamento tra le aree specializzate, fino a coniare la definizione di corteccia associativa per indicare l’insieme di tali aree. Tali differenze, inizialmente accostate ai caratteri citoarchitettonici (coniocorteccia, corteccia granulare, corteccia piramidale, ecc.) sono rimaste fino ad oggi a rappresentare una sorta di paradigma della diversità morfo-funzionale costitutiva dell’organizzazione della corteccia cerebrale. Seguendo questo paradigma, sulla base di evidenze anatomo-cliniche, si è attribuita tradizionalmente alla corteccia del lobo parietale la funzione stereognosica, e nella semeiotica neurologica le prove di stereognosia servivano prevalentemente per esplorare la funzione di quella parte del cervello.

Oggi numerosi studi, in apparente contrasto col paradigma della specializzazione localizzata, stanno rilevando evidenze a supporto di una nuova possibilità: la codifica dello spazio come proprietà universale dei circuiti corticali.

Naturalmente, prima di considerare questa possibilità alla stregua di un fatto della fisiologia, è necessaria un’analisi accurata delle evidenze sperimentali e, soprattutto, un’indagine precisa sui vari aspetti di questa codifica in regioni differenti della corteccia cerebrale.

Uno studio condotto da Jonas-Frederic Sauer e colleghi ha indagato e accertato una rappresentazione topograficamente organizzata dello spazio e del contesto nella corteccia prefrontale mediale, una regione cerebrale alla quale sono riconosciuti numerosi e rilevanti ruoli funzionali, ma non certo la stereognosia.

(Sauer J.-F., et al. Topographically organized representation of space and cortex in the medial prefrontal cortex. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 119 (6) e2117300119 Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2117300119, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Institute for Physiology I, Medical Faculty, University of Freiburg, Freiburg (Germania); Faculty of Biology, University of Freiburg, Freiburg (Germania).

La corteccia prefrontale, così detta per convenzione nata sulla base di uno storico uso di questa espressione in cui il prefisso “pre” è evidentemente improprio in quanto il nome intende designare tutta la superficie corticale del lobo frontale[4], è stata chiamata anche corteccia frontale granulare, per la prevalenza – rilevata solo nei primati – dello strato granulare nella sua organizzazione citoarchitettonica esalaminare; è stata anche definita corteccia di associazione frontale[5] ma, sebbene alla luce degli studi recenti le si possa riconoscere un ruolo di collegamento, il termine derivava dal concetto obsoleto di “corteccia associativa” col quale i pionieri dello studio del neopallio indicavano le aree non dedicate a specifici ruoli motori o sensoriali, in un’ottica localizzatrice ingenua, in cui tali parti sarebbero servite solo per associare aree con vere funzioni. Ancora oggi alcuni ricercatori intendono per corteccia prefrontale la superficie dell’omonimo lobo con l’eccezione della corteccia motoria e premotoria.

Attualmente la corteccia prefrontale è definita come la parte della corteccia cerebrale che riceve proiezioni dal nucleo mediodorsale del talamo, secondo un criterio applicabile a tutti i mammiferi. Lo studio delle sue connessioni allo scopo di comprenderne il ruolo funzionale si è evoluto nel tempo, risentendo dei criteri dominanti che si sono succeduti in neurofisiologia, così si è passati da una decodifica in termini anatomoclinici basata su deduzioni derivate dal confronto della sintomatologia clinica con la sede del danno accertata in necroscopia autoptica, al complesso ragionare per reti neuroniche, in cui le parti della corteccia frontale di volta in volta attive acquisiscono senso funzionale dal ruolo attribuito all’intera rete[6]. La principale trattazione monografica sull’argomento, The Prefrontal Cortex di Joaquin M. Fuster, che da decenni costituisce il riferimento introduttivo per i ricercatori e il principale aggiornamento per i docenti, focalizza l’attenzione sul ruolo di coordinazione delle funzioni cognitive, e dunque delle strutture anatomiche che le rappresentano, nell’organizzazione temporale del comportamento; in sostanza, sul ruolo di formazione di sequenze comportamentali coerenti per perseguire dei fini necessari o anche solo opportuni per l’adattamento dell’individuo alla realtà circostante. Fuster giunge ad eleggere questa funzione quale prioritaria e specifica della corteccia prefrontale attraverso una logica sia induttiva che deduttiva, muovendo sia dal particolare verso l’universale che viceversa, ma sa benissimo – come sappiamo noi – che si tratta di una scelta, ragionevole e plausibile sulla base di numerosissime evidenze sperimentali, ma non esaustiva dei molteplici ruoli che si possono riconoscere alla partecipazione dei suoi neuroni alla massima parte delle attività mentali umane.

In termini più generali, non è erroneo affermare che la corteccia dei lobi frontali sia una regione del cervello dedicata all’azione, sia che si tratti di atti mentali, sia che si tratti di atti motori, che comportano il controllo esecutivo di quella fascia pre-rolandica somatomoria detta omuncolo e delle aree 4, 6, 8, 44 e così via[7].  E, quindi, può ancora considerarsi in via generale corretta l’idea classica secondo cui la corteccia anteriore sia una base dell’agire, mentre quella posteriore sia una base del recepire, anche se fin dagli studi di Mountcastle degli anni Settanta si parla di corteccia sensomotoria per indicare la frequente partecipazione come unità funzionale dell’insieme costituito dalla corteccia sensitiva parietale con quella motoria frontale. Oggi si tende ad interpretare questa evidenza dell’agire simultaneo attraverso connessioni reciproche quale parte di una caratteristica alla base della fisiologia di tutto l’encefalo, inizialmente identificata nella reciprocità tra talamo e corteccia: il fenomeno del rientro.

Naturalmente, la visione attuale risente della nozione secondo cui la corteccia frontale (come quella parietale, temporale e occipitale) tutto ciò che fa lo compie in cooperazione con altre regioni corticali, con strutture sottocorticali e con alcuni settori effettori e recettivi del sistema nervoso autonomo. Tuttavia, oggi è anche noto che la corteccia prefrontale presenta aree di elevata specializzazione dette domini d’azione (action domains) – quali quelli dedicati al movimento degli occhi, al movimento di segmenti corporei, all’esecuzione verbale, alle manifestazioni delle emozioni, ecc. – fra i quali è stata dimostrata l’esistenza di una cooperazione. In ogni caso, tutti i domini d’azione studiati nella corteccia prefrontale hanno fatto rilevare la partecipazione a quelle funzioni cognitive e ed emozionali che caratterizzano questa parte della neocorteccia come un intero, funzioni essenzialmente integrative e finalizzate.

Numerosi studi hanno dimostrato che i sistemi neuronici della corteccia prefrontale sono indispensabili per conferire coordinazione e coerenza al comportamento; secondo Fuster questa capacità deriva da una “gestalt temporale” implicita nel funzionamento di questa regione, che si esprime attraverso la capacità della corteccia prefrontale di organizzare le azioni nel dominio temporale; da questa organizzazione cronologica deriva sul piano comportamentale l’apparenza di coordinazione e coerenza.

Per considerare alcune altre peculiarità della corteccia prefrontale, è opportuno ricordare che tutte le funzioni corticali così come sono descritte in neurofisiologia hanno luogo su un sostrato neurale di rappresentazione, il che vuol dire su un patrimonio di memorie a lungo termine permanente nella sostanza anche se modificabile nella forma. Le funzioni di ogni area della corteccia fanno uso del sostrato di memoria proprio di quell’area, che si identifica con l’informazione codificata nello stato funzionale delle reti neuroniche di quel territorio[8]. Il sostrato di rappresentazione della corteccia prefrontale, in particolare nel suo settore laterale consiste di reti di memoria esecutiva, che si continuano in altre aree corticali e si sono formate per effetto di pregresse esperienze. Le operazioni esecutive che si attribuiscono alla corteccia prefrontale consistono essenzialmente dell’utilizzo del sostrato di memoria per due fini principali: 1) acquisizione di nuove memorie esecutive; 2) organizzazione del pensiero nella forma dell’ideazione e del ragionamento, organizzazione della comunicazione verbale e non verbale, organizzazione del comportamento inteso quale insieme di azioni coordinate per il perseguimento di fini, obiettivi e scopi concreti e astratti.

In questo prospetto seguiamo una sintesi interpretativa proposta per la prima volta da Fuster che, a proposito del suo uso della preposizione for – ossia per – a proposito dell’utilizzo da parte della corteccia prefrontale delle memorie, precisa che il suo intento è sottolineare la teleologia (l’essere volto a un fine) della fisiologia di questa regione cerebrale. In termini neurali e cognitivi le rappresentazioni degli scopi delle future azioni precedono e causano tali azioni grazie al ruolo della corteccia prefrontale. La teleologia – o, forse più correttamente, il finalismo – così inteso è alla base di due importanti proprietà neocorticali e funzioni cognitive: l’abilità di pianificare (planning) e l’abilità di prendere delle decisioni (decision making).

Accanto a queste due, la terza funzione sperimentalmente comprovata della corteccia prefrontale è l’attenzione esecutiva, una risorsa necessaria per le altre due, cioè pianificare e decidere. L’attenzione esecutiva è costituita da tre processi di cruciale importanza per la vita mentale: 1) la memoria di funzionamento (working memory); 2) il set preparatorio (preparatory set); 3) il controllo inibitorio dell’interferenza (inhibitory interference control). Nessuno dei tre processi è localizzato in sede prefrontale, ma tutti e tre richiedono la base prefrontale per operare.

Infine, rimandando a trattati e manuali per ulteriori dati sulla corteccia prefrontale, si ricorda che la corteccia prefrontale effettua il suo controllo esecutivo dell’organizzazione temporale orchestrando l’attività di altre strutture che intervengono nei processi dell’attenzione esecutiva.

Passiamo, ora, al merito dello studio qui recensito.

Il tuning spaziale dei neuroni piramidali neocorticali è stato osservato in varie regioni della corteccia cerebrale, e si ritiene che dipenda primariamente dall’input proveniente dalla formazione ippocampale. Al contrario dei codici di luogo ippocampali, che sono accuratamente studiati e definiti a partire dagli studi di John O’Keefe e dei coniugi Moser[9], molte proprietà del sistema di tuning spaziale neocorticale sono ancora insufficientemente comprese. In particolare, è rimasto ancora oscuro e indefinito come la topografia di connessioni anatomiche dirette dall’ippocampo alla neocorteccia interessi il tuning spaziale della profondità, e se le dinamiche di codifica spaziale dell’informazione nella regione di output CA1 dell’ippocampo – quale il rimappaggio in un ambiente nuovo – sono trasmesse alla neocorteccia. Usando topi in navigazione attraverso ambienti virtuali, Jonas-Frederic Sauer e colleghi hanno affrontato questi problemi nella corteccia prefrontale mediale murina, che riceve l’input diretto dall’ippocampo.

I ricercatori hanno trovato una rappresentazione prefrontale dello spazio rapidamente emergente – in assenza di regole per il compito – che distingue ambienti familiari da ambienti nuovi ed è ristabilita con la ri-esposizione allo stesso ambiente familiare.

Le analisi topografiche hanno rivelato un gradiente dorsoventrale nella rappresentazione della propria posizione, tale gradiente va in direzione opposta alla densità di innervazione dell’input ippocampale.

Presi insieme tutti i risultati ottenuti, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura integrale del testo del lavoro originale, rivelano durante la locomozione spontanea del topo un codice di luogo prefrontale dinamicamente emergente e topograficamente organizzato.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-12 febbraio 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] L’evoluzione da Australopithecus a Homo habilis e quella da Homo habilis a Homo sapiens, si stima che siano avvenute in un arco di tempo che va da un milione a un milione e 250.000 anni, ossia da 75.000 a 125.000 generazioni (Haldane J. B. S., On being the right size. Oxford University Press, London 1986). Altri paleoantropologi hanno proposto stime numeriche diverse, ma la sostanza rimane la stessa.

[2] Oggi si descrivono 32 aree visive sparse in tutta la corteccia, con una localizzazione costante, anche se la delimitazione non è precisa come nel caso paradigmatico dell’area visiva primaria (17, V1) detta “retina corticale” per la perfetta corrispondenza con i campi della retina, conservata grazie all’organizzazione retinotopica delle vie ottiche.

[3] Questi esempi si comprendono meglio con la lettura nella sezione “AGGIORNAMENTI” del sito, nella scheda introduttiva “La corteccia cerebrale – aggiornamento”, del saggio intitolato “LA CORTECCIA CEREBRALE – ORIGINI E CONSEGUENZE DELLA SUA CONFIGURAZIONE”.

[4] In passato qualche autore ha “razionalizzato” questo uso, escludendo la corteccia motoria dalla definizione, ma si tratta di un’interpretazione personale, perché nella storia della nomenclatura anatomica l’espressione è stata fin dall’inizio considerata sinonimo di “corteccia frontale”.

[5] Questo vecchio criterio giustificherebbe la menzionata esclusione della corteccia motoria dal territorio “prefrontale”.

[6] Si adopera ancora in neurologia clinica e in neuropsicologia la distinzione in tre subregioni: 1) Laterale, 2) Orbitale, 3) Mediale/Cingolata anteriore. Alle tre suddivisioni corrispondono 3 diverse sindromi lesionali. In ambito sperimentale, sulla base di consolidate evidenze, si considerano paradigmatiche alcune modalità di funzionamento, come l’antagonismo tra la corteccia prefrontale laterale e la orbitomediale.

[7] L’errore di ritenere la specializzazione del controllo una localizzazione di funzioni, considerando, ad esempio, l’area 8 esclusiva per il controllo del movimento degli occhi e l’area 44 (o area di Broca) per il controllo motorio della parola, ignora che queste funzioni dipendono anche da altre strutture, ma soprattutto ignora un concetto-chiave: entrambe le aree partecipano alla sintassi dell’azione dipendente dall’organizzazione temporale del comporamento realizzata dalla corteccia prefrontale.

[8] L’informazione è ordinariamente definita in base ai costituenti neuronici di quelle reti e alle connessioni funzionali che esistono fra loro.

[9] Note e Notizie 28-11-15 Una lezione sulla memoria dai coniugi Moser insigniti del Nobel nel 2014.